FIORENZO FACCHINI - Ben venga il mea culpa di Dawkins

Tratto da "Avvenire" - 8 novembre 2008

 

Un’impresa davvero colossale quella del genetista Richard Dawkins che con il suo libro «L’illusione di Dio» voleva dimostrare in base alla scienza che Dio non esiste. Ma con sua grande delusione, come egli riconosce in una sua intervista riportata dal 'Corriere della sera' di ieri, la sua tesi non ha intaccato la fede dei credenti.

In realtà ciò non sorprende, perchè esorcizzare la fede in Dio significa andare contro millenni di storia delle religioni e ignorare che il senso religioso è antico quanto l’uomo.

L’utilizzazione della scienza per negare l’esistenza di Dio è un’arma spuntata, anacronistica. Se Dio non può essere dimostrato con i metodi della scienza, non può essere neppure negato. Meglio allora convincere che di Dio non c’è bisogno, perché la scienza è in grado di spiegare tutto, come alcuni evoluzionisti vanno sostenendo con il naturalismo darwiniano facendogli assumere una connotazione ideologica o filosofica. Non a caso essi prendono le distanze da Dawkins.

Ma la tesi di Dawkins sembra avere trovato anche dei curiosi sponsor grazie alla iniziativa di alcuni che vogliono pubblicizzare l’ateismo mediante uno slogan scritto sul lato degli autobus britannici: «Probabilmente Dio non esiste, smettete quindi di preoccuparvi e godetevi la vita», uno slogan che Dawkins condivide in pieno, anche se avrebbe voluto che si dicesse: «Quasi certamente Dio non esiste».

Una iniziativa quanto meno banale, perché puntando sulla libertà senza scrupoli immiserisce il senso e i problemi della vita umana e fa capire a quali livelli si possa giungere senza il riferimento a Dio. Dawkins lamenta il fondamentalismo religioso che, disapprovando la teoria della evoluzione, impedirebbe il progresso della scienza, ma non si accorge che la posizione che critica è analoga e simmetrica alla sua. In entrambe non si riconosce l’autonomia della scienza e della religione che, anche quando affrontano temi comuni, lo fanno sotto angoli visuali e con metodi diversi e non possono configgere, ma anzi dovrebbero comporsi in una visione armonica delle cose, sapendo distinguere ciò che è essenziale o dimostrato da ciò che è solo interpretazione o ipotesi.

Difficoltà di dialogo e di intesa emergono spesso nel dibattito tra scienza e fede circa il tema della evoluzione. Secondo alcuni la Chiesa invade il campo della scienza, secondo altri la scienza vuole imporsi alla fede, si tratti della creazione dell’universo o dell’uomo. Così non sono mancate critiche, anche in campo cattolico, alla Pontificia Accademia delle Scienze che ha trattato nei giorni scorsi il tema delle origini dal big bang alla materia oscura e all’energia oscura, dalle origini della vita sulla terra, all’uomo.

L’incontro, che si è svolto a porte chiuse, ha interessato la stampa solo attraverso qualche intervista.

Questa scelta ha favorito lo svolgimento sereno del dibattito che ha avuto il carattere di un proficuo dialogo interdisciplinare tra posizioni anche diverse. Il discorso di Benedetto XVI è stato di orientamento. Il papa ha riaffermato che «non c’è opposizione tra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche» e ha ripreso l’immagine galileiana della natura come libro scritto da Dio da affiancare a quello delle Scritture.

Non può esserci dialogo tra scienza e fede se non si riconoscono le diverse forme di conoscenza nell’ambito scientifico, filosofico e teologico.

Sarebbe un’autolimitazione e una chiusura preconcetta. L’uomo non dovrebbe essere sempre in ricerca?