FIORENZO FACCHINI - Quella famiglia che risale alla preistoria

Tratto da "Avvenire" - 19 novembre 2008

 

 

Gli scheletri di un padre, di una madre e di due bambini nella stessa sepoltura risalente a 4.600 anni.
La prima famiglia umana della storia? No, si potrebbe meglio dire la prima famiglia anagrafica, o se vogliamo, la prima tomba di famiglia, in cui i nomi delle persone sono scritti non con parole ma con le lettere del Dna.
E’ quanto alcuni ricercatori hanno scoperto in una sepoltura che fa parte di un complesso di sepolture riferibili del periodo neolitico trovate a Eulau in Sassonia. L’analisi del Dna ha messo in evidenza affinità genetiche riferibili a consanguineità tra adulti e bambini. Ciò che sorprende non è il fatto di un nucleo familiare, ma la sua documentazione genetica.
La famiglia è una struttura a carattere bioculturale, connaturale all’uomo. Per nascere e crescere c’è bisogno di un nucleo parentale a carattere stabile, di una coppia che non soltanto lo faccia nascere, ma se ne prenda cura, lo faccia crescere, insegni quei comportamenti che, come il bipedismo e il linguaggio, vengono appresi e non sono determinati geneticamente, anche si ereditano le strutture anatomiche necessarie. Occorre un apprendimento. Si ritiene che sia stato così fin dagli albori dell’umanità. Nella preistoria si conoscono altre sepolture di adulti con bambini. Basti ricordare una sepoltura delle Arene Candide, in Liguria, che risale all’Epigravettiano finale (18.560 anni fa) con un adulto e un bambino sepolti contemporaneamente, per non parlare della donna di Qafzè (Israele), nella più antica sepoltura (risale a 90.000 anni fa), sepolta con un infante ai piedi. A Eulau non hanno trovato solo una tomba di famiglia, ma anche altre sepolture in cui sono rappresentati adulti e bambini, complessivamente tredici individui, accomunati da una medesima fine, forse per qualche evento traumatico collettivo (collegabile a lotte tra agricoltori e cacciatori?), così come erano accomunate in vita da qualche vincolo sociale. Le ossa portano segni di violenze (una donna porta una pietra infissa tra le vertebre). Mani pietose si sono prese cura dei morti e li hanno seppelliti con alcune attenzioni, come quella di disporre bambini e adulti l’uno in faccia all’altro.
Sono dunque documentate attenzioni e cure per i defunti.

Queste segni, già presenti in alcune sepolture dei Neandertaliani e interpretate come culto dei defunti, si accrescono nel Paleolitico superiore con le forme moderne provenienti dal Vicino Oriente intorno a 35.000 anni fa, dove le testimonianze di sepolture sono più antiche e numerose. Esse rivelano che per quelli che le praticavano la morte non doveva apparire soltanto come un evento biologico, ma aveva assunto un altro significato connesso con il pensiero della sopravvivenza, che rappresenta un bisogno profondo dell’uomo. Ciò non significa che l’assenza di trattamenti particolari per i defunti debba denotare la mancanza di qualunque riferimento all’aldilà. Ma i reperti di Eulau hanno riservato anche un’altra sorpresa: le analisi degli isotopi dello stronzio contenuto nei denti, connesso con la dieta, rivelerebbe una maggiore concentrazione nelle donne, che gli studiosi spiegano con una diversa provenienza territoriale delle donne, e quindi un diverso ambiente, suggerendo una esogamia. Ma non si potrebbe ipotizzare una diversa alimentazione nei maschi e nelle femmine per qualche ragione di carattere culturale che non conosciamo? E’ proprio vero che anche i reperti scheletrici rappresentano un archivio non soltanto biologico, ma anche culturale.